I romani per l’oreficeria presero a modello tanto l’oreficeria etrusca che quella greca, e perfino un tocco di oriente persiano. Indubbiamente però i primi orefici che servirono Roma furono etruschi. Ma l’oreficeria romana ebbe anche anelli a losanga incisa, di derivazione greca; o lo scarabeo girevole. I gioielli realizzati in oro e gemme si moltiplicarono verso la fine dell’età repubblicana e soprattutto a partire dall’età augustea (27 a.c.-14 d.c.), con l’apertura dei mercati orientali da cui provenivano le pietre preziose.

Soprattutto si diffusero le perle, pescate nell’Oceano Indiano e nel Mar Rosso, usate non solo nei gioielli, ma anche per ornare i vestiti e pure i calzari. Plinio e Tacito si dolsero non poco di tanto sperpero di denaro a causa della vanità femminile, ma non pensarono all’artigianato e al commercio che ne fiorirono sfamando la popolazione.

Apprezzatissimi gli smeraldi, provenienti per lo più da miniere egiziane, i granati e i diaspri.
L’oro viene usato molto più dell’argento e di materiali poveri come il bronzo. Fanno eccezione delle collane e degli spilloni per i capelli, spesso di bronzo o materiali poveri.

La maggior parte dei resti rinvenuti sono quelli delle città sepolte vesuviane che documentano quanta ricchezza di oreficeria si possedesse in una città di provincia da parte dei soli ceti medi, senza tener conto degli aristocratici. I gioielli erano diffusissimi tra le romane.

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